Le palpebre si strizzano per evitare l’inevitabile, che in quanto tale, non demorde e bussa ancora sugl’occhi: è una domenica di sole. Tu sei ancora sotto le coperte, ma sai benissimo che è così perché dalle persiane (chiuse male) è penetrato un raggio di luce che illumina la tua stanza-caverna. Così l’idea di sprecare anche una sola ora delle poche di luce che l’inverno concede scuote il tuo IoA: “alzati, non poltrire, non lo vedi che giornatona che è uscita?” urla l’IoB all’IoA, che intanto chiede “ma che ore sono? Mi pare di aver sentito il gallo dei vicini…”. “Sono le 8.30 pelandroneee! Dai-dai-dai-dai alzati, lavati, vestiti e andiamo al mare!”. Al solo figurarsi dei colori che si celano nelle vocali della parola mArE, gli Io si sciolgono e si fondono in un paio di minuti, e ti ritrovi in macchina con una strana speranza ad alimentare il battito cardiaco. Arrivata a destinazione, metti un piede fuori e poi l’altro e poi… t’investe la brezza! Mentre passeggi un po’ dispiaciuta d’inficiare il lavoro del vento e delle onde che hanno levigato e compattato granello per granello tutta la spiaggia, ti compiaci della irripetibilità di quella sensazione e lasci che ogni conchiglia ti stupisca. Poi ti siedi un attimo, fai un po’ di disegni stupidi sulla sabbia umida, prendi il ciottolo più bello che hai trovato lungo il percorso fatto e che avevi messo in tasca, ti concentri e, mentre lo stringi forte tra le dita, ci riversi dentro tutti i pensieri che ti assillano, tutta la paura che hai di tornare a casa e svegliarti che è ancora un Lunedì a trainarti (e non viceversa). Allora prendi la mira e lo lanci, provando a fare più rimbalzi sul pelo dell’acqua che puoi e mentre questo affonda tu stai già muovendoti per tornare sui tuoi passi.



